“Cielocittà”, l’universo creativo di Lorenzo Lepore esplora la musica tra delicatezza e intensità

Roma. Cantautore romano, classe 1997, Lorenzo Lepore è una delle voci più interessanti della nuova scena musicale italiana. Dopo una formazione all’Officina Pasolini e una lunga serie di palchi importanti come il Parco della Musica, Piazza del Popolo a Roma e il Palatlantico, ma anche di riconoscimenti prestigiosi come il Premio per il Miglior Testo a “Musicultura” e il Premio Amnesty International “Voci per la Libertà”, Lepore continua a costruire un percorso coerente e appassionato, che culmina nella pubblicazione del suo secondo album, “Cielocittà”.
Lo abbiamo intervistato per esplorare il suo universo creativo in cui la musica, sospesa tra delicatezza e intensità, nasce dall’urgenza autentica di raccontare e raccontarsi, trasformando le parole in rifugio e le melodie in resistenza.
L’artista ci ha raccontato la genesi del suo ultimo lavoro ma anche il suo rapporto con il pubblico e i progetti futuri, il valore e la sfida di restare sé stessi in un mondo che consuma tutto troppo in fretta e quella costante tensione tra cielo e terra che abita le sue canzoni.

Il tuo ultimo album, “Cielocittà”, nasce dal contrasto tra il caos urbano e il desiderio di qualcosa di più grande, la voglia di “guardare più in alto”. Se potessi scegliere un’immagine che rappresenti al meglio questo tuo ultimo lavoro, quale sarebbe?

Una tangenziale che vibra percossa dall’alveare di motori che le sfrecciano addosso. Un tramonto che si riflette impavido nel palazzo specchiato sulla stazione Tiburtina. La pioggia inizia cadere sull’asfalto grigio formando pozzanghere che proiettano miriadi di storie.
Un gatto si va a nasconde in un cantiere mentre un campo rom grida alle stelle. Un uomo si innamora di una nuvola che sta per svanire e un fiorellino cresce sul cemento armato dove un bambino solo tira calci al suo pallone.
“Cielocittà” è un viaggio. Il viaggio di molteplici visioni al confine esatto tra una metropoli che implode ed un cielo che le rivela la sua eternità. L’idea che il cielo dialoghi con la città è alla base di questo album.

Nel brano “La Bandiera” racconti il potere come una costruzione artificiale che genera violenza. Se avessi la possibilità di abolire un solo “confine”, geografico o mentale, quale sceglieresti e perché?

Abolirei la sovrastruttura più abominevole. Non è geografica e si trova nelle nostre coscienze. Consiste nel fatto di non riuscire a comprendere che siamo tutti sorelle e fratelli.
Se negli occhi della persona che stiamo per uccidere (moralmente o fisicamente) vedessimo nostro padre, un amico o l’unica persona che abbiamo amato nella vita, secondo me, nella maggior parte dei casi cambierebbe qualcosa e sarebbe un mondo con meno spari e meno lacrime di tristezza.

Nel disco canti di ricerca interiore, insoddisfazione, ironia, resilienza, rinascita. C’è una canzone in particolare che, dopo averla scritta, ti ha fatto capire qualcosa di nuovo su te stesso?

Sì, “Nessuno al mondo” mi ha fatto capire che scrivere d’amore è la cosa più importante che si possa fare. Lo è perché l’amore salva la vita. Non parlo di quelle storie di utopiche coppie perfette come quelle delle pubblicità dei biscotti. Parlo di un amore conquistato con sudore e sangue. Canto del combattere per un obiettivo comune. Non sono mai riuscito a parlare sinceramente d’amore fino a questo momento. Riuscire a farlo meritava la giusta cura. Credo che questa canzone abbia reso giustizia alla mia attesa.
L’amore arriva, ti mette al muro e ti insegna anche a scrivere di sé. Ti muove come muove tutte le cose della vita.

Hai definito “Cielocittà” un’opera “controcorrente”, lontana dalle mode e dalle tendenze attuali. Se potessi scegliere un artista fuori dagli schemi con cui collaborare, chi sarebbe e cosa ti piacerebbe realizzare insieme?

Se mi avessi fatto questa domanda un anno fa ti avrei detto Lucio Corsi. Questo ti fa capire che stiamo vivendo un periodo culturale e musicale assurdo, perché se Lucio Corsi e Brunori arrivano secondi e terzi al festival di Sanremo vuol dire che veramente sta cambiando qualcosa e la gente della musica senza anima si è finalmente rotta le scatole (per non essere volgari). Io voglio crederlo. Ho aperto un concerto a Corsi lo scorso luglio e durante la finale non potevo credere ai miei occhi. Ancora oggi mi sembra di vivere un sogno. Azzardo nel rispondere che sceglierei un duetto con Francesco De Gregori, ovvero la persona che mi ha insegnato che la musica è un mezzo per narrare la vita in maniera poetica, folle, multiforme ma soprattutto autentica…
De Gregori ha scritto con mano la storia della canzone d’autore italiana. Ha cambiato le prospettive offrendo trame che hanno fatto sognare il mondo intero. Gli devo tutto.

Pubblicare un album interamente suonato con strumenti e musicisti veri, oggi, è un gesto coraggioso, quasi rivoluzionario. Qual è, secondo te, il valore simbolico di questa scelta? Come vedi il futuro della musica d’autore nel nostro Paese, anche alla luce del riscontro di artisti come Lucio Corsi e Brunori Sas durante l’ultimo Festival di Sanremo?

La mia esperienza mi ha insegnato negli anni che l’unica cosa importante di questa storia pazzesca è salire su un palco e fare rumore. Se avessi dei soldi da investire li investirei sempre per fare qualcosa in funzione del fatto che possa suonare fin quando non staccano la corrente.

Hai dichiarato che per te fare musica significare regalare un po’ di profondità alle persone, farle divertire, commuovere e aiutarle a guardarsi dentro anche solo per un istante. In un panorama musicale come quello attuale in cui le canzoni vengono “consumate” così velocemente, qual è la sfida più grande che deve affrontare un artista che non vuole rinunciare alla propria autenticità?

La sfida più grande, secondo me, consiste nell’essere noi stessi rischiando di non venir compresi. La conseguenza del fallimento è arrenderci e nella peggiore delle ipotesi adeguarci a un sistema, con estrema probabilità di svanire nel nulla, come avviene a tante meteore di questa complicata scena.
Se fossi costretto ad adeguarmi ad un genere che non amo portando le vesti di un personaggio che non mi rappresenta non varrebbe davvero più la pena continuare a cantare e scrivere. Smetterei subito. L’arte, come dice Niccolò Fabi, non è una posa ma è resistenza alla mano che ti affoga.

Pochi giorni fa hai avuto l’onore di aprire il concerto di Roberto Vecchioni all’Auditorium Parco della Musica. Che emozione è stata per te e cosa ti porterai dietro da questa esperienza?

È stata un’emozione unica. Il quarto d’ora che aspettavo da tempo. Nella sala Santa Cecilia del Parco della Musica ho ascoltato Bob Dylan, Niccolò Fabi, i Jethro Tull e tutte le migliori orchestre italiane. Cantare le mie canzoni davanti a 2700 persone attente non ha fatto altro che alimentare il mio sogno di continuare a farlo per tutta la vita. Ho ricevuto tanti applausi anche durante le canzoni. Il teatro è il mio mondo. Poi il “Prof.” è stato carinissimo con me. Mi ha fatto i complimenti quando sono sceso dal palco dicendomi che ha apprezzato molto “Meglio così”. Si ricordava di me poi da “Musicultura” in cui mi ha votato nel 2021, quando ho vinto il “Premio Miglior Testo” con “Futuro”. Vecchioni è il prof che tutti vorremmo avere. Una persona piena di vita e dal cuore grande.

Quanto rappresenta per te la dimensione dal vivo? Nei tuoi live, quanto spazio lasci all’improvvisazione?

La dimensione dal vivo, come dicevo, per me è tutto. L’improvvisazione è proprio la mia chiave di lettura del mondo e delle cose. Non preparo quasi mai quello che devo fare sul palco. Le mie canzoni, poi, nascono al 99% improvvisandole. È come fosse una sorta di freestyle d’autore. Gli errori per me non esistono. Anzi esistono e sono le parti più belle di questa storia.

Quali sono i tuoi progetti futuri e i prossimi appuntamenti dal vivo?

Intanto nei prossimi mesi diventerò dottore in “Letteratura, musica e spettacolo” alla Sapienza di Roma con una tesi su “Piero Ciampi”. Sono certo che molti di voi avranno pensato: “- Chi?”. Ma è giusto così. Piero Ciampi è stato uno dei cantautori più forti della nostra musica ma le persone non lo conoscono. Desidero dare luce a tutti i tesori più sconosciuti per farli riscoprire a quante più persone. Sta bollendo in pentola un progetto più grande intorno a questo artista che, a tempo debito, arriverà alle orecchie e al cuore della gente. Per il resto sarò in tour per tutta l’estate con il mio album. “Cielocittà” continuerà a risuonare fra brezze e asfalti roventi. Di certo anche nelle orecchie di meravigliosi artisti con cui sto collaborando e che nel futuro saranno protagonisti di brani condivisi. Ma non svelo nulla, lascio parlare il presente e farci cogliere dalle sorprese finché continueranno ad esistere.

Crediti foto: Gaia Credentino e Lorenzo Ficini.

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